27 novembre 2012

"Via Chanel N°5" di Daniela Farnese


Premessa:
SCUSA! Scusa, Tazio, tu che mi hai regalato questo libro e che lo hai fatto con affetto pensando di farmi cosa gradita, scusa! Scusa perché adesso io lo distruggerò con questa mia recensione!!! Ma tu non avertene a male, a volte anche i titoli e le copertine più accattivanti nascondono sorprese.. bruttissime sorprese! Ma come diceva Topolino: “Tutti sbagliano, altrimenti non ci sarebbe la gomma in cima alle matite”.

Recensione:
Per iniziare la mia recensione ho bisogno di un documento, che chiameremo PROVA N°1, ed è questo: la foto che l’autrice ha deciso di mettere nella controcopertina……….. 


Dalla quantità di puntini potete ben capire che la foto si commenta da sola!
A rischio di sembrare cinica, vi dirò che penso che una che sceglie una foto così per corredare la sua prima opera letteraria non è che sta messa proprio tanto bene!! Dalla famosa Dottoressadania.it in effetti mi aspettavo qualcosa di più… (A’ Dania… continua a fa’ la blogger che te riesce mejo!!)

Passiamo ora alla PROVA N°2: trattasi dell’insana passione della protagonista per Coco Chanel. Sinceramente sembra proprio un pretesto trovato dall’autrice per citare nel titolo un marchio famoso… e visto che di “Tiffany qualcosa” ne avevano già fatti tanti…

PROVA N°3: si conferma che nella maggior parte dei casi le scrittrici italiane che si occupano di questo genere letterario non ne sono assolutamente all’altezza, lo banalizzano riempiendo le storie di clichè e scimmiottano le colleghe d’oltreoceano (o d’oltremanica) che invece sanno dosare sapientemente gli scenari cult delle commedie d’amore con spunti personali e inediti.

In sostanza, il libro attinge a piene mani dalla “letteratura” di Sex and the City, de Il diavolo veste Prada, di Bridget Jones, veri e propri capisaldi del genere, che per carità tantissimi rievocano, ma insomma almeno facendo uno sforzo di rielaborazione. Invece qui la protagonista sfigata cronica come Bridget, ma figa nell’anima come Andrea alla corte di Runway, si veste in modi eccentrici e ricercati (e la descrizione degli abiti viene fatta in pieno stile Carrie), approda a Milano alla ricerca dell’amore, viene tradita (questo del tradimento sto notando che è l’incipit di quasi tutti gli ultimi libri, come se fosse il necessario step 1 per un processo di catarsi delle protagoniste), fa innamorare quello che crede essere un fattorino e invece è guarda caso il CEO dell’agenzia dove lavora, arriva a un successo strepitoso sul lavoro e alla fine preferisce rimanere sola che mal (?) accompagnata. C’è pure una morale, te capì??

Su quest’ultima nota di “milanesità”, porto a giudizio della Corte la PROVA N°4, ovvero che tutta la storia è ambientata a Milano anche se ha una disperata voglia di esserlo altrove. La mia cara città natale viene descritta ben più viva, moderna e dinamica di quello che purtroppo in realtà è. Va bene, vieni da Napoli e pensi che Milano sia cosmopolita e fervida, e probabilmente rispetto a Casalecchio sul Reno lo è, ma fidati, la Milano che hai descritto nel libro non c’è!! Descrivi Milano, ma sogni New York… e allora ambientalo lì sto benedetto libro no?? Almeno non correrai il rischio di fare la gaffe di piazzare “un’agenzia d’eventi di 3 piani in Viale Zara” dove, permettimi di dirlo, ma gli unici eventi per cui la via è famosa sono quanto di più lontano ci sia dal wedding planning….

Con quest’ultima arringa volevo difendere la Mia Milano (o forse così facendo non l’ho poi così tanto adulata? Mah..), ma questo solo per dimostrare come anche questo sia uno dei tanti dettagli che è stato trascurato da un’autrice banale, approssimativa e poco fantasiosa, che ha messo in piedi una storia stucchevole, piena zeppa di clichè, di già visto e di avvenimenti così tanto prevedibili (ma Dio mio, pure l’amica che si scopre lesbica… ormai non se la fa più mancare nessuno eh??) che tolgono qualsiasi curiosità nella vicenda e finire di leggere il libro diventa un’impresa di pura forza di volontà.

The LR advice: Signore e signori della Corte, il mio giudizio è implacabile. Propongo la massima pena per un libro: al rogo. E pubblicamente se possibile. Ho terminato.

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