23 gennaio 2014

The Tiffany Saga/3: "Un anello da Tiffany" di Lauren Weisberger

Alla fine ce l’ho fatta, nonostante le dilazioni, il lavoro, gli impegni e le vacanze di Natale, sono riuscita a rileggere “Un anello da Tiffany” di Lauren Weisberger…. e che piacere è stato! Mi ricordavo bene moltissimi particolari ma a questa seconda lettura ho potuto apprezzare certe sfumature dei personaggi e cogliere il messaggio del libro, che NO, per l’ennesima volta non c’entra niente con Tiffany, ma è molto più profondo.

Puoi farlo, puoi cambiare te stessa, puoi cambiare le convenzioni, l’immagine di te,
l’immagine che persino gli altri hanno di te!

E’ questo il messaggio, un grido di self training che ha dato la scossa al mio nuovo anno.
Perché a volte c’è bisogno di sentirsi dire che puoi, che “si può fare”, che per quanto le catene delle convenzioni siano forti e pesanti, c’è un modo per spezzarle.
Si chiama Coraggio. Di secondo nome fa Volontà.

Che iniezione di ottimismo il libro della Weisberger, grazie alla sua triade azzeccatissima di protagoniste che vivono ed esemplificano 3 aspetti del cambiamento. C’è Emmy, quella delle storie lunghe, quella che non si apprezza abbastanza e che preferisce stare col ragazzo sbagliato piuttosto che stare da sola: lei deve lanciarsi in un “puttan tour” lasciandosi andare e facendo sesso con un uomo in ogni continente. E’ avvincente scoprire le sue ritrosie, il suo senso del pudore, fino alla scena (al limite dell’inverosimile) del sesso a bordo piscina con un toy-boy. E poi di nuovo le sue ricadute nell’affetto con l’uomo successivo, i sogni di nozze in bianco e di fiocchi rosa… perché comunque cambiare va bene, mettersi in gioco e rischiare altrettanto, ma snaturarsi no.

No, il cambiamento non vuol dire snaturamento quanto piuttosto svelamento di come si è veramente (anche se lo si è dimenticato) o di come si vorrebbe essere.
Perciò Leigh, il personaggio più completo, appuntito ed antipatico, è anche il più commovente, perché metafora di tutte le donne che si infilano in un “rapporto perfetto” senza volerlo veramente e senza avere il coraggio di “non volerlo”… perché…“chi non vorrebbe un rapporto così”? E commovente perché chiunque viva di meticolosità e perfezionismo (anche senza arrivare ai complessi e alle nevrosi) ha il sogno segreto di liberarsene e di lasciarsi andare, senza colpe né meriti, senza il giudizio degli altri, rovesciando completamente la propria vita e i propri schemi. E quando qualcuno lo fa, oltre al brivido di paura mista a eccitazione, la sensazione è quella di un grosso sospiro di sollievo.

E infine Adriana, bella, bellissima, come solo i personaggi dei libri possono essere. Lei, il personaggio più brioso e favoleggiante, è il motore che spinge a continuare la lettura. I suoi consigli di seduzione ti fanno pensare “Ma funzioneranno davvero anche al di fuori del libro?”. Confesso che si legge Adriana con invidia e curiosità, agognando la sua bellezza e capacità “extraterrestre” di sedurre. Il suo cambiamento è il più lieve, perché in fondo che cosa deve cambiare una così? Al massimo può crescere ed emanciparsi (un lavoro, un trasferimento, una relazione matura), ma fa parte della vita.

E quindi chi si aspettava che dietro un chick-lit con un titolo ridicolo si celasse un romanzo leggero ma così pieno di significati, per chi solo li sa cogliere! In questo senso ancora non mi spiego la regressione che la Weisberger ha avuto nell’ultimo romanzo “La vendetta veste Prada” (cherecentemente ho recensito): forse è mancata l’ispirazione, forse la motivazione. Ma questo e “Il diavolo vola a Hollywood” per me rimangono davvero dei mini capolavori.


The LR advice: scrivere questa recensione è stato facile come lo è stato leggere il libro. Lettura consigliata, raccomandata e caldeggiata… più de così, nun ze po’!!!!

4 gennaio 2014

“La vendetta veste Prada” di Lauren Weisberger

Le aspettative nei confronti di questo libro erano altissime: d’altra parte dopo un film eccezionale come quello con Meryl Streep e Anne Hathaway, era logico che qualsiasi lettore avrebbe letto e immaginato il libro anche come sequel cinematografico. Peccato che, come spesso accade quando le aspettative sono troppo alte, questo “Diavolo veste Prada 2.0” si sia rivelato una delusione. E sapete perché? Perché di “Diavolo veste Prada” non ha proprio niente!

All’inizio pensavo di essere esagerata o forse impreparata (ammetto di avere solo visto il film e non avere letto il primo libro), ma una volta finito l’impressione era che la storia non c’entrasse nulla col capitolo precedente e che avrebbe potuto reggere benissimo anche con nuovi nomi e nuovi personaggi. E in effetti la sensazione non è solo mia: ero così incredula che sono andata a sbirciare altre recensioni fatte da altre blogger più o meno conosciute e il sentore comune era proprio quello di un certo disorientamento. Per risolvere questa recensione (e sciogliere gli atavici dubbi sorti nel corso della lettura), ho cercato quindi di farmi delle domande… e di darmi delle risposte (per la serie “fatti una domanda e datti una risposta”)….eccole qui, sentitevi libere di aggiungerne altre alla lista!

Domanda 1: Cosa manca de “Il diavolo veste Prada”?
Risposta 1: Beh, la moda, innanzitutto! La redazione di Runway è stata sostituita da quella di un’inverosimile rivista di matrimoni di lusso condotta dalle 2 acerrime nemiche Andy ed Emily. Una rivista di matrimoni di lusso? Quando viene descritto il target a cui si rivolge le parole stridono come unghie sulla lavagna.

Domanda 2: Ma Andrea non aveva mollato Runway perché voleva scrivere su giornali più seri di argomenti inerenti il sociale? Come ci è finita a scrivere di matrimoni?? Non è coerente col personaggio che era emerso nel primo libro!
Risposta 2: I matrimoni semplicemente… vanno di moda!!! La triade “Tiffany, cupcake e wedding planning” è in cima alle tematiche della narrativa romantica, ed è ancora dura a morire.

Domanda 3: Se sono passati  10 anni e Andy è ormai una donna adulta, realizzata e volitiva, perché per tutto il libro sembra così insicura? Dove è finita la Andy che ha mandato a quel paese Miranda lanciando il telefono in una fontana di Parigi nel bel mezzo della settimana della moda? E soprattutto, dove sono finite le sue palle?
Risposta 3: Dicesi “mancato sviluppo del personaggio”: sembra che Andy abbia subito una regressione invece che un’evoluzione. Se da un lato la Weisberger ci mostra una donna che ha gettato le basi per costruire un “impero” nel mondo dell’editoria, dall’altro ci fa vedere una protagonista piena di insicurezze: col fidanzato poco prima di andare all’altare, con la collega nella difficoltà anche solo di parlare della faccenda Elias-Clark, ed ovviamente nel rapporto con Miranda.

Arriviamo giustamente a Miranda: la sua presenza nel libro è relegata a poche scene, che per quanto siano le più riuscite, fanno solo intrasentire il brivido di paura che il personaggio di Miranda Priestly, come una novella Crudelia Demon, dovrebbe evocare. Troppo poco per immedesimarsi in Andy e giustificare quella paura che un’altra collega blogger in un’altra recensione ha magistralmente definito “una sorta di sindrome post traumatica da reduci di guerra”.

Ma se da un lato c’è poca Miranda, dall’altro il libro ha guadagnato un argomento completamente nuovo: la maternità!! TA-DAHHHHH! Chi mi segue da un po’ avrà notato che da mesi (e in particolare da una recensione) affermo che la gravidanza e la maternità siano il nuovo filone tematico che si è aggiunto alla sopra citata triade di argomenti clou. Ma aspettate un attimo: cosa c’entra la maternità, che volente o nolente è fatta di tute, pappe, pannolini e rigurgiti, con lo scintillante e fashionista mondo di Runway e del “Il diavolo versione 1.0”? NIENTE! E infatti nella parte dedicata al bebè sembra proprio di leggere un altro libro, ambientato in un corso post parto e con personaggi tutti nuovi. In questo contesto Andy si sarebbe potuta chiamare Alice, Dorothy, Jennifer o Lucy che tanto non sarebbe cambiato niente. Andrea non è la stessa Andrea che avevamo imparato a conoscere nel libro e nel film numero 1.

Che peccato, quanta confusione… quanta voglia della Weisberger di scrivere un nuovo libro e una nuova storia che trasuda da queste pagine, ingiustamente (e secondo me, anche in modo postumo) ricollegate alle vicende del suo primo grande successo.
E quindi, con una amorevole circolarità, non posso che concludere la recensione così come è incominciata, ovvero con una domanda: perché?


The LR advice: purtroppo è il primo caso dopo tanto tempo in cui mi sento di non raccomandare una lettura. Il libro è definibile solo in una maniera: trascurabile. Ma per non far sì che il giudizio su un singolo libro diventi giudizio di merito sull’autrice, il mio personalissimo proposito per gennaio 2014 è di fare ciò che sto rimandando ormai da 2 anni, ovvero rileggere e recensire l’altro libro della Weisberger, ormai datato, che è “Un anello da Tiffany” e concludere così la “Tiffany saga”. Lauren è brava e si merita di più di questa stroncatura….speriamo solo che “La vendetta veste Prada” sia uno scivolone momentaneo e che l’autrice torni presto ai fasti a cui ci aveva abituati.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...